Il sessantottino dell’alto

Addio a Dick Fosbury. Aveva 76 anni. Ha cambiato il modo di saltare cancellando lo stile ‘ventrale’. È stato oro nel 1968 ai Giochi in Messico

 

Ha rivoluzionato nell’atletica leggera il salto in alto con un proprio stile. Per la prima volta, finora unica, è ancora riconosciuto con il suo nome e cognome, come fosse un marchio registrato e depositato. Richard Douglas Fosbury, noto come Dick Fosbury, ha veramente sconvolto le tecniche utilizzate fino alla conclusione degli anni Sessanta. Ha ribaltato teorie e pratiche consolidate e allegate per decenni e capovolto gli schemi e i pensieri di allenatori e atleti. Concentrazione, rincorsa, stacco e balzo per superare in quota l’orizzontale asticella, poi atterraggio sui materassi per evitare guai fisici e malanni. La sconvolgente novità riguarda proprio come comprendere il modo di valicare quella barriera. D’un colpo Dick Fosbury ha cancellato il cosiddetto ‘stile ventrale’ per ruotare il corpo e andare più su e più in là di schiena, dorsalmente.
Era il 1968, anno conosciuto per le manifestazioni studentesche, ma anche per l’Olimpiade sull’altura di Città del Messico, che passerà alla storia per il pugno chiuso in un guanto nero mostrato dagli sprinter afroamericani Tommie Smith (oro) e John Carlos (bronzo) sul podio dei Giochi nel corso della premiazione dei 200 metri e per il metodo innovativo inventato e attuato da quel ragazzo originario dell’Oregon.
Infatti, era nato a Portland il 6 marzo del 1947 Dick Fosbury, dove si è spento nel sonno all’età di 76 anni. Resterà nell’immortalità sportiva per aver marchiato e targato quella assoluta e improvvisa originalità nella disciplina, prima quasi derisa, “è una meteora, che sparirà con il suo autore e interprete”. E, invece, quella stranezza o stravaganza, quasi un’anomalia in quegli anni, ha preso il sopravvento e da tempo ogni saltatore applica adatta le sequenze e le movenze ingegnate da Fosbury. E sarebbero dovute durare il tempo massimo di una Olimpiade. Dicevano.
Il 1968 è stato l’anno di Dick Fosbury. Il giovane americano di un metro e 93 centimetri, in quella stagione da considerare straordinaria, ha prima vinto il Campionato NCAA, poi i Trials di qualificazione per i Giochi dei cinque cerchi multicolorati e, quindi, ha trovato l’apice della gloria a Città del Messico. I 2 metri e 24 centimetri, a quel tempo primato olimpico, hanno contato per l’aggiudicazione del prezioso oro. In finale aveva indossato le scarpe di colore diverso, ma solo per motivazioni tecniche e non per qualche altra bizzarria dell’atleta o per una trovata pubblicitaria.
La ‘non Fosbury Flop’ griffata e rappresentata proprio dal compositore ha illuminato la scena internazionale per una sola stagione. L’altista dell’Oregon ha lasciato l’atletica leggera e i salti togliendo così allo sguardo del mondo una interessantissima sfida contro il russo Valerij Nikolaeivic’ Brumel, grande specialista dell’altro metodo. A raccontare tutta la storia al duello sportivo mancava anche il russo, che era stato argento a Roma nel 1960 con 2 metri e 16 centimetri e oro a Tokyo nel 1964 con 2 metri e 18 centimetri, in quanto nell’ottobre del 1965 a Mosca era rimasto coinvolto, da passeggero, in un incidente motociclistico causa delle fratture alla gamba destra, quella dello stacco. Aveva 23 anni. Era nato in un villaggio siberiano il 14 aprile del 1942. Per sei volte aveva ritoccato il limite mondiale, da 2 metri e 22 centimetri era asceso, sempre ventralmente, a 2 metri a 28 centimetri. Quell’incidente ha segnato la fine dell’attività di Brumel, anche se dopo quattro anni e 37 interventi chirurgici, ha riprovato senza ritrovare le passate misure standard da campione. Il confronto fra Fosbury e Brumel, con due modi diversi di giostrare sulla pedana, non c’è stato nel 1968 e neanche in seguito.
Nel 1981 Fosbury è stato inserito ufficialmente nella Hall of Fame dell’atletica leggera americana. Negli anni il limite planetario è salito nel 1993 a Salamanca, in Spagna, a 2 metri e 45 centimetri con il cubano Javier Sotomayor Sanabria. Vanta anche il record indoor con 2 metri e 43 centimetri realizzato nel marzo dell’89 a Budapest. Il limite femminile è della bulgara Stefka Kostadinova con 2 metri e 9 centimetri realizzato al Mondiale di Roma del 1987.

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