AAA…cqua cercasi

Allarme-siccità dall’ANBI, che ha definito 858 progetti per migliorare o realizzare le infrastrutture in modo da recuperare il prezioso liquido

 

Luce lampeggiante e suono della sirena ininterrotto per segnalare l’emergenza idrica nel nostro Paese, che conferma il trend ormai registrato da alcune stagioni causato soprattutto dai cambiamenti climatici e dall’inadeguatezza delle iniziative per calmierare il rischio e favorire la gestione e l’uso dell’acqua. I decremento dei volumi idrici coinvolgono soprattutto le zone del nord Italia, ma livelli scarsi nei fiumi e nei laghi sono stati indicati anche nel Lazio, nella Sicilia dell’entroterra e sud-orientale e in Sardegna. In Lombardia lo sprofondo è del 56,8%; i fiumi del Veneto e il Po sono ai minimi storici e in Emilia-Romagna la crisi ha colpito in particolare la provincia ferrarese. Nel Lazio il calo dell’orizzontale riguarda il Tevere, il Sacco e il Liri. In Umbria soffre il lago Trasimeno. Una parte della Sicilia è scampata, almeno per il momento, alle difficoltà patite per l’uragano di fine ottobre.
A ribadire la negativa situazione è stata l’ANBI, l’Associazione nazionale dei consorzi e della gestione e della tutela del territorio e delle acque irrigue. I dati sono stati raccolti dall’Osservatorio sulle Risorse Idriche e resi noti nel corso di un focus sull”Emergenza climatica. Il paradosso Italia’, a cui hanno preso parte, fra gli altri, i presidenti della Commissione Agricoltura di Senato e Camera, Gianpaolo Vallardi e Filippo Gallinella; il sottosegretario per il Sud e la Coesione Territoriale Dalila Nesci; il docente dell’Università di Padova Elisabetta Novello e il vertice della stessa Associazione Francesco Vincenzi e Massimo Gargano.
La desertificazione ha ormai valicato la soglia de 21% del territorio nazionale. L’Italia, fra l’altro, può contare su quasi 300 miliardi di metri/cubi di acqua piovana, ma, con le attuali infrastrutture è in grado di trattenere solo l’11% della caduta naturale dal cielo, come dire 5 miliardi e 800 milioni di metri/cubi. La stragrande maggioranza della quantità del prezioso liquido va perduto e, quindi, inutilizzato. Uno spreco. Insufficienti gli invasi attualmente disponibili, molti quelli da ristrutturare e riqualificare o che sono usati in modo sperimentale e ancor di più i contenitori senza collaudo o, addirittura, interrati. Oltre 72 milioni di metri/cubi di materiali sarebbero da asportare per una spesa di quasi 290 milioni di euro, secondo un approfondimento da parte degli esperti del settore.
L’ANBI da tempo ha progettato e più volte illustrato le iniziative e gli interventi necessari per fronteggiare l’ormai allarmante situazione. “Fondamentale aumentare la capacità di immagazzinamento della risorsa idrica pluviometrica, almeno altri 5 miliardi di metri/cubi attraverso la realizzazione di piccoli e medi bacini di raccolta ad uso plurimo e multifunzionale e ampliare la superficie attrezzata con impianti irrigui collettivi, in grado di soddisfare contemporaneamente i bisogni agricoli e ambientali”. Bacini che potrebbero essere a disposizione non solo dei coltivatori e degli allevatori, ma anche “dei praticanti della pesca sportiva o per lo spegnimento degli incendi”. Numerose strutture gestite dai consorzi sono alimentate da energia rinnovabile autoprodotta con impianti idroelettrici, che sfruttano anche i contenuti sbalzi di livello e fotovoltaici allestiti sui tetti degli immobili consortili o galleggianti su vasche e bacini.
Nel piano di Efficientamento della Rete Idraulica del Paese l’ANBI ha preparato 858 progetti, la maggior parte definiti e praticamente cantierabili. In Italia, però, l’impasse è generato dalla cosiddetta ‘burocrazia’, che ingloba anche una frammentazione delle competenze e la disomogeneità normativa sui vari territori. La disponibilità di acqua è primaria per le coltivazioni agricole e a evitare lo spopolamento delle aree interne e marginali di collina e bassa montagna. Le presenze sono importanti anche per la salvaguardia del territorio e la sicurezza idrogeologica. I progetti predisposti dall’ANBI, per un investimento di quasi 4 miliardi e 400 milioni di euro, sarebbero in grado di offrire oltre 21mila nuovi posti di lavoro coniugando in una esclusiva facciata tutela ambientale, occupazione e valenza socio-economica.
L’85% del Made in Italy agroalimentare ha necessità dell’acqua. 538 miliardi di euro, il 25% del Prodotto Interno Lordo nazionale. Un settore fondamentale e vitale, che dovrebbe essere maggiormente sostenuto e sviluppato per quella autonomia alimentare tornata di estrema attualità in questi giorni per la crisi nell’Est Europa, fra Russia e Ucraina. Per la siccità e la crescente desertificazione per l’innalzamento delle temperature i danni stimati alla produzione agricola sono annualmente di quasi un miliardo di euro.
In Italia sarebbero 3.341 i comuni ad alto rischio di frane ed alluvioni, quasi il 30% del territorio della nostra penisola. All’incirca 7 milioni e 500 mila persone, che potrebbero essere in difficoltà anche grave e fatale. Dal 2010 al 2020 gli eventi estremi riconducibili a frane e alluvioni sono stati 946, che hanno causato 251 vittime e 50 mila sfollati. L’Italia, fra l’altro, è prima in Europa per territorio urbanizzato con il 7,11%, come dire quasi 2 milioni e 100 mila ettari.

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