Quante volte abbiamo sentito ripetere da atleti, tecnici, appassionati, sportivi e osservatori “se contemporaneamente non ci fosse stato al via il ‘Cannibale’, quel belga di Eddy Merckx sempre avido di passare davanti a tutti sul traguardo, avrebbe vinto molto, molto di più, almeno il doppio, forse il triplo delle corse e alzato un gran numero di trofei posti nella già ricca bacheca”. Uno dei tanti campioni che l’Italia dello sport ha prodotto, in questo caso nel ciclismo, è scomparso. Il giorno dopo Ferragosto. Felice Gimondi ha accusato un malore, poi risultato fatale, nelle acque siciliane di Giardini Naxos. A nulla sono serviti i tentativi dei presenti e degli specialisti sanitari. Aveva 76 anni. Felice Gimondi era originario di Sedrina, provincia di Bergamo, dov’era iscritto nella locale anagrafe dal 29 settembre del 1942. Nel messinese, però, non è stata spenta la storia di questo straordinario atleta, di un soffio sopra il metro e ottanta centimetri, in grado di alimentare il curriculum fin dal 1960 con la prima vittoria nelle categorie giovanili. Due anni dopo ha iniziato a gareggiare fra i dilettanti. Nel triennio ha alzato le braccia al cielo per la gioia sotto l’ambito striscione dell’arrivo in sedici occasioni. La perla è stata incastonata nel 1964 con il trionfo nel Tour de l’Avenir. In quella stagione ha difeso i colori azzurri nella prova su strada nell’Olimpiade giapponese di Tokyo. Chiude al trentatreesimo posto della corsa vinta dal connazionale Mario Zanin. L’inevitabile debutto fra i professionisti risale al 1965 con la maglia e i colori della Salvarani guidata da Luciano Pezzi. Al primo Giro d’Italia, vinto dal compagno di squadra Vittorio Adorni, è salito sul gradino più basso del podio. Alla fine della carriera saranno ben nove conditi dagli immancabili successi di giornata, ma, soprattutto, Felice Gimondi è stato uno dei sette corridori sulle bici ad aver iscritto il proprio nome sull’Albo d’Oro delle tre grandi corse a tappe: Tour de France, nel 1965; la Vuelta spagnola, nel 1968 e il Giro d’Italia, nel 1967, nel 1969 e nel 1976. Gimondi trionfatore anche nel Mondiale del 1973 a Barcellona sul circuito del Montjuic e nelle più importanti classiche sia italiane che internazionali, fra cui la Parigi-Roubaix e la Parigi-Bruxelles; la Milano-Sanremo; il Giro di Lombardia, dell’Appennino, del Piemonte, della Romagna; la Coppa Agostoni, Bernocchi, Placci; il Gran Premio di Castrocaro e dell’Industria, oltre a circuiti e criterium. Alcune hanno anche assegnato la maglia tricolore del campionato nazionale. Nella quindicina di stagioni, fra Salvarani e Bianchi con Giancarlo Ferretti, Felice Gimondi ha collezionato complessivamente 141 successi e per undici volte è stato nella selezione italiana per il Mondiale su strada. Esperienze limitate in pista, in particolare nella Sei Giorni di Milano: nel 1972 con Sigi Renz e nel 1977 abbinato a Rik Van Linden. Non sono mancati a fine carriera i premi e i riconoscimenti assegnati e consegnati. Nel 2015 l’immortalità con la targa posta a Roma e dedicata ai grandi dello sport conquistatori delle maggiori competizioni internazionali. Ha collezionato tutti i metalli del Mondiale: l’oro a Montjuic nel 1973, l’argento a Mendrisio nel 1971 e il bronzo a Leicester nel 1970. Rammarico e commozione immediatamente espresse da tutto il mondo dello sport e, in particolare, da quello delle due ruote con i pedali. Il rivale d’un tempo, Eddy Merckx, che l’aveva sentito telefonicamente nei giorni scorsi, ha parlato di una perdita come “un’amara sconfitta”; il presidente della FederCiclismo Renato Fi Rocco ha ricordato “un campione amato e rispettato” e il Commissario Tecnico della nazionale azzurra Davide Cassani ha rivelato “di essere stato il suo unico idolo”.
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