Qualche giorno fa mio marito mi ha regalato il primo cofanetto di una serie TV (l’ultima stagione è terminata proprio quest’anno): “C’era una volta”. La trama, in sintesi, è questa: tutti i personaggi delle fiabe e dei racconti più popolari (Biancaneve; Cenerentola; la Bella Addormentata; Pinocchio; Mu-Lan; ecc.), a causa di un incantesimo, sono trasportati nel nostro mondo e divengono gli abitanti di una città – inaccessibile dall’esterno – in cui vivono non ricordandosi del proprio passato, senza più poteri magici e senza ricordare la loro storia, imprigionati in un luogo senza “lieto fine”. Questo, almeno, fino a quando una “salvatrice” non romperà l’incantesimo… Il fascino della serie è proprio il continuo intreccio tra mondo fantastico e mondo reale: i personaggi del “mondo reale”, per quanto inconsapevoli, continuano ad agire ed a comportarsi secondo la loro natura ed il loro carattere (il grillo parlante è un puntiglioso psicanalista; Biancaneve è un’affettuosa insegnante di scuola elementare; e così via…). Così, quando entra in scena un nuovo personaggio, il “gioco” è proprio quello di cercare di indovinare chi fosse nella favola. Proprio questo mi ha fatto pensare a Nicola. I suoi lati “esagerati” – la sua esuberanza; la corporatura; il suo essere “estremo” in tutto, dai giudizi taglienti e “definitivi” fino ai colori pastello che amava indossare; il suo famigerato “libro nero”, in cui minacciava di annotare i nomi di chi aveva ingiustificatamente disertato le sue feste – lo rendevano un personaggio indimenticabile, che potevano farci ricordare alcuni aspetti degli eroi della nostra infanzia. Un eroe buono e positivo, un amico che – lo sapevamo – ci avrebbe sempre difeso e sarebbe sempre stato al nostro fianco. Un amico che, adesso, è tornato nel suo mondo incantato, fatto di eroi e di buoni sentimenti.
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