Illustrato a Roma il progetto ‘LEO’ realizzato da AIA in collaborazione con altri otto partner italiani, che prevede una banca-dati digitale in cui sono riportate le informazioni sugli allevamenti
Per comprendere meglio quanto è importante e innovativa l’iniziativa sono sufficienti le parole pronunciate nell’intervento dall’ex ministro di via Venti Settembre, Maurizio Martina, attuale vicedirettore generale della FAO, l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura delle Nazioni Unite, nel corso della presentazione del progetto ‘LEO’, accompagnato nell’occasione da ‘domande e risposte per una zootecnia in transizione’. A Roma, al Centro Congressi di piazza della Pilotta, Martina ha sottolineato che “questo progetto deve essere raccontato anche al di là dei confini nazionali ed europei, in quanto utile all’intero settore per un salto di mentalità indirizzata alla modernità con le aggiornate tecnologie. Fondamentale raccogliere i dati, da analizzare, incrociare, utilizzare e comunicare”. La proposta di Maurizio Martina è di “illustrare nuovamente il progetto, però con replica internazionale, alla FAO”.
Il progetto ‘LEO’, Livestock Environment Opendata, racchiude in unica banca-dati digitale milioni di informazioni relative all’attività zootecnica e raccolti nelle varie stalle sono elaborati, analizzati e comunicati in relazione alle condizioni ambientali, sanitarie, climatiche e alimentari. I risultati sono disponibili e accessibili a tutti gli interessati, fra cui allevatori, studiosi, ricercatori, professionisti del settore e chi abbia volontà dell’utilizzo per sostenere e migliorare la qualità delle produzioni zootecniche italiane nel rispetto del benessere del bestiame e dell’ambiente.
‘LEO’ rappresenta un concreto sviluppo per il raggiungimento dell’Agenda 2030 verso un comparto 4.0 con un sistema di allevamento di animali efficiente e ben monitorato, in grado di offrire alimenti di alta qualità con la garanzia della sicurezza e la salubrità dei prodotti, la sostenibilità ambientale e la conferma della cura del territorio e del mantenimento della biodiversità.
All’approfondimento, promosso dall’AIA, l’Associazione Italiana Allevatori, hanno partecipato, oltre al presidente Roberto Nocentini e al direttore generale Mauro Donda, docenti, ricercatori e chi è quotidianamente coinvolto nel settore produttivo. Il progetto è stato sostenuto con 93 milioni 162 mila e 600 euro nell’ambito di un progetto pluriennale favorito dal FEASR, il Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale. Ed era etichettato, ‘L’Europa investe nelle zone rurali’. Otto, in questa iniziativa, i partner dell’AIA: le università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, di Palermo e della Tuscia; l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale ‘Giuseppe Caporale’ di Abruzzo e Molise e quello ‘Togo Rosati’ di Umbria e Marche; il Consorzio per la Sperimentazione, Divulgazione e Applicazione di Biotecniche Innovative; l’Istituto Spallanzani e la società specializzata in sistemi informatici e telematici BluArancio. Il progetto ‘LEO-Piattaforma Opendata per la Zootecnia’ mette “a disposizione di tutti almeno 40 milioni di informazioni ogni anno”, ha rilevato Riccardo Negrini, direttore tecnico dell’AIA. “L’intelligenza artificiale descrive, analizza, predice e prevede lo stato di salute dell’animale anche in relazione alle necessità e alle condizioni climatiche come, fra l’altro, per il consumo di acqua”, ha ribadito Barbara Vecchi, responsabile dell’Ufficio Gestione Progetti dell’IFAB, l’International Foundation BigData and Artificial Intelligence.
L’iniziativa ha consentito di sviluppare sistemi di monitoraggio dello stress dovuto alle temperature eventualmente elevate negli allevamenti e di stimare le emissioni enteriche utili per valutare strategie di mitigazione. Umberto Bernabucci, docente dell’Università della Tuscia, a questo proposito, ha rivelato che “sono stati immagazzinati quasi 100 milioni di dati climatici all’interno e fuori la stalla con un controllo ripetuto intorno ai quindici minuti e dopo le verifiche sono disponibili anche gli sms per notificare l’eventuale stress termico. Un monitoraggio climatico per gestire la produzione di latte in tutte le stagioni e la conseguente fornitura alimentare”.
Trentadue i parametri applicati per il “generale benessere, ma sono un centinaio fra zootecnici, di efficienza e gestionali continuamente aggiornati”, ha ricordato Lorenzo Pascarella dell’Ufficio Studi dell’AIA, che hanno coinvolto “un milione e 400 mila animali di 13 mila aziende”. I dati, eventualmente, possono essere consultati e utilizzati anche dalla pubblica amministrazione. Complessivamente sono stati “raccolti 286 milioni” indicatori. L’impegno riguarda almeno 105 razze autoctone o a limitata diffusione.
Capitolo farmaci. Per il direttore sanitario dell’istituto Zooprofilattico Sperimentale di Umbria e Marche Giovanni Pezzotti, per anni hanno ritenuto “il nostro Paese maglia nera d’Europa”, ma non è proprio corrispondente alla realtà. Il consumo degli antibiotici è controllato attraverso “undici protocolli diagnostici”, che hanno permesso l’archiviazione di almeno “un milione di esiti”. La richiesta è estesa anche “alla standardizzazione di campionamento per avere dati in grado di essere comparabili”.
In pratica è stata realizzata anche una “biobanca nazionale della zootecnia, un biocatalogo di almeno trent’anni di storia, una risorsa per il miglioramento genetico. 30 mila i campioni annualmente incamerati”, ha affermato Paolo Ajmone Marsan, docente all’Università Cattolica Sacro Cuore di Piacenza. “Tracciabilità e certificazione d’origine” precisata da questa iniziativa, ha sottolineato Caterina Melilli dell’Ufficio Studi dell’Associazione Italiana Allevatori per avvicinare sempre più a quella zootecnia 4.0, che conferma il settore nazionale riferimento di produzione di garanzia e qualità. Ennesimo tassello del Made in Italy ricercato in tutto il pianeta come ha ribadito Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, anche se “a causa dell’economia l’andamento è oscillante, che, comunque, negli ultimi dieci anni l’export è raddoppiato da 30 a 60 miliardi di euro e nei primi sette mesi del 2023 è cresciuto del 7%, ma in flessione rispetto al 2022. Questo ha portato all’aumento del cosiddetto ‘Italian Sounding’, le false e maldestre imitazioni delle eccellenze enogastronomiche nostrane. L’Italia, solo con la trasformazione, vanta un valore aggiunto di quasi 66 miliardi di euro”.