Una produzione di quasi 4 milioni e 500 mila litri, che hanno consentito una commercializzazione potenziale di almeno 6 milioni di bottiglie: il Vermouth di Torino IGP, l’unico ad aver ottenuto l’Indicazione Geografica Protetta, ha mostrato il positivo andamento nel corso degli Stati Generali del Consorzio, che rappresenta oltre il 96% dell’intera realtà tradizionale italiana. Il presidente Roberto Bava, a Pollenza, territorio comunale di Bra, in provincia di Cuneo, ha ricordato che “l’IGP è tutelato in ventidue paesi ed è presente sugli scaffali di ottantadue mercati del pianeta” con possibilità di ulteriore espansione. Al Consorzio aderiscono attualmente 35 aziende ed è stato istituito nel 2019, due anni dopo il riconoscimento dell’IGP da parte dell’allora Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, che, in particolare, risale al 22 marzo del 2017. In quell’occasione è stato depositato anche il cosiddetto ‘disciplinare’, che, fra l’altro, regolamenta il tipo, la qualità e la quantità degli ingredienti e il relativo procedimento. Il vino aromatizzato, come alcune volte è identificato, in pratica ha una base alcolica oscillante fra i 15 e i 17 gradi; una parte zuccherina e le erbe che offrono al palato la particolare ed innegabile gustosa sensazione. “Il trend positivo è iniziato nel 2018” con una crescita nell’ultima stagione del 23%. Il maggior consumo è dovuto, fra l’altro, all’allargamento geografico dei mercati e alle tendenze con la moltiplicazione delle varietà nella preparazione soprattutto dei cocktail. Da non trascurare anche il consumo dei giovani e l’apprezzamento femminile degli aperitivi mescolati o shakerati. L’offerta dei produttori è stata ampliata con le possibilità di vermouth ambrato, bianco, dry ed extradry, rosé e rosso. Il Consorzio ha anche aumentato la presenza delle etichette nelle fiere e nelle rassegne specializzate, anche internazionali, per la valorizzazione attraverso le opportune degustazioni, ma anche per fornire ogni informazione sul vermouth, sulla sua storia, sulla preparazione per la produzione e sul relativo impiego di un altro tipico marchio dell’Italia enogastronomica. La scoperta semiufficiale, almeno di quello maggiormente simile all’attuale, sembra risalire al 1786 in quel di Torino e avrebbe visto protagonista Antonio Benedetto Carpano. Inizialmente è stato denominato wermut, una terminologia tedesca per indicare o ricordare l’artemisia, la maggiore essenza utilizzata per la caratteristica aromatizzazione. I liquoristi torinesi, in seguito, hanno intensificato la produzione e la commercializzazione al di là dei confini regionali, prima e di quelli nazionali, poi, soprattutto in Francia. In un passato più remoto sono segnalati, descritti o solo ipotizzati consumi di vino o forse solo di alcol aromatizzato, in altre aree europee, fra cui nel nord e in Gran Bretagna. Il ‘disciplinare’ depositato al Ministero di via Venti Settembre prevede che la parte vegetale utilizzata dovrà essere coltivata o raccolta in Piemonte e con una importante quota di vini chiaramente della regione. Il riconoscimento e la tutela con l’Indicazione Geografica Protetta che garantisce anche la qualità del prodotto ha rilanciato completamente il vermouth italiano ormai diventato uno dei più importanti e ricercati riferimenti dei barman di molti altri paesi vista l’internazionalizzazione della commercializzazione senza tralasciare anche l’apprezzamento domestico.
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