“Non è più un settore al servizio dell’Industria, ma è ormai una vera e propria impresa, che realizza prodotti da essere utilizzati per poi rifinire nel circuito del riciclo e del commercio”, ha sottolineato Chicco Testa, al vertice di AssoAmbiente, nel corso della presentazione del Rapporto ‘L’Italia che ricicla’ curato dal Laboratorio Ref. Ricerche, mentre il Centro Studi Economici e Internazionali dell’Università romana di Tor Vergata ha approfondito la “rappresentatività dell’Associazione nel particolare comparto”. Un comparto in grado di generare energia e lavorare qualsiasi tipo di materiale. L’Italia è leader in Europa per quantità di rifiuti raccolti e destinati alla trasformazione, sia urbani che speciali, con l’83,2% e alle spalle della sola Francia per la ricollocazione delle cosiddette ‘materie prime seconde’. E questo nonostante un evidente e, per certi aspetti, imbarazzante divario fra nord e sud, per una normativa ancora non completamente adeguata e per l’insufficienza di impianti. La Germania con ben 10.497 strutture è al primo posto in Europa, mentre il nostro Paese è fermo a 6.456, molte, fra l’altro, di piccola e media dimensione e la quasi totalità operative nelle zone del centro e del settentrione. Nella sola Lombardia, ad esempio, sono attivi il 22% degli impianti dedicati al recupero. E riciclano oltre 31 milioni di tonnellate di scarti, poi, nella particolare graduatoria nazionale, è collocato il Veneto con poco più di 12 milioni e 377 mila tonnellate e, quindi, l’Emilia-Romagna con 10 milioni di tonnellate. La media europea dell’avvio del ciclo è del 39,2%, molto al di sotto di quello registrato in Italia e anche degli altri maggiori paesi, la Spagna è al 60,5%, la Francia al 54,4% e la Germania al 44%. Un primato, quello italiano, confermato dalla quota di utilizzo dei metalli provenienti dal riciclo, 47,2%, davanti alla Francia, 39,3%; alla Germania, 27,3% e alla Spagna, 18,5%. All’incontro, promosso nella capitale dall’Associazione delle imprese, dei servizi ambientali e dell’economia circolare, hanno preso parte, fra gli altri, il presidente della Commissione Ambiente della Camera Mauro Rotelli e quello di Unicircular Paolo Barberi, Laura D’Aprile del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e, naturalmente, chi ha seguito gli approfondimenti, Rosario Barone dell’ateneo romano e Donato Berardi del Laboratorio Ref. Il chiaro, finora e il nebuloso, di seguito. È ancora una montagna troppo voluminosa e ingombrante quella esportata. Nel 2020 oltre 3 milioni e 600 mila tonnellate di rifiuti industriali e poco più di 581 mila tonnellate di scarti urbani, per complessivi 4 milioni e 200 mila tonnellate, sono stati portati all’estero, dove per lo più sono stati recuperati e trasformati in energia e in sottoprodotti comuni, comunque utili. L’Italia, attraverso le molteplici amministrazioni comunali in difficoltà con lo smaltimento soprattutto per mancanza di adeguati impianti, oltre a pagare una quota perde anche la possibilità di sfruttare quella che diventa con la trasformazione una redditizia risorsa. “Le carenze impiantistiche che affliggono il nostro Paese non riguardano solo il riciclo, ma anche la gestione degli scarti” non differenziati. A questa realtà si aggiungono quelle “della lunghezza delle procedure autorizzative, della complessità del panorama normativo-regolamentario e della farraginosità dei controlli. Negli ultimi periodi è arrivato un ulteriore gravio rappresentato dall’incremento dei costi energetici che anche le aziende del settore del riciclo sono costrette a fronteggiare”. Paolo Barberi, fra l’altro vicepresidente di AssoAmbiente, ha rilevato come siano necessarie “la certificazione del riciclo; gli incentivi fiscali attraverso, ad esempio, di un’IVA agevolata, per una migliore competitività dei materiali riciclati rispetto alle materie prime ‘vergini’; l’adozione in tempi brevi delle indicazioni tecniche per favorire un mercato stabile e trasparente e per le gare pubbliche, che vanno comunque rafforzate”. I ‘famosi’ acquisti ‘verdi’ degli enti e della pubblica amministrazione. “Un modo per il definitivo salto di qualità dell’Industria nazionale del riciclo, centrale nella strategia dello sviluppo con la cosiddetta ‘economia circolare’. E l’Italia, con l’impegno degli imprenditori e l’attenzione dei cittadini, è in grado di cogliere questa opportunità. La quota-mercato delle società rappresentate da AssoAmbiente, secondo lo studio illustrato nella sala ‘Gianfranco Imperatori’ di ‘Civita’, sarebbe capace di fatturare intorno ai 13 miliardi di euro e all’Associazione aderiscono per lo più realtà contenute nella produttività. Intanto si è sbloccata la situazione sui residui dell’edilizia che pesano annualmente milioni di tonnellate. Dall’inizio di novembre l’ulteriore attesa riguarda solo l’indicazione dei requisiti tecnici per essere trasformati in prodotti da commercializzare. “Il settore non è più composto da smaltitori di rifiuti, ma da vere e proprie aziende qualificate e operative nell’attività produttiva”, che chiedono un’opportuna osservazione e un intervento della politica, ha concluso Chicco Testa. Il conosciuto e ideale iter del settore, quello simbolico delle tre ‘r’, rappresentanti del recupero, del riciclo e del riuso.
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