Ogni anno il nostro Paese avrebbe una necessità stimata in 33 miliardi di metri/cubi di acqua, che, poi, tradotta, sarebbe di quasi 26 miliardi di metri/cubi quella effettivamente consumata. La stragrande maggioranza della quantità è utilizzata per le lavorazioni industriali, artigianato compreso e per le coltivazioni agricole e solo una contenuta quota sgorga dai rubinetti domestici. Questi alcuni dei dati resi noti nel corso del quarto Forum sull’Acqua promosso nella capitale da Legambiente in collaborazione con Utilitalia e con il sostegno della Regione Lazio, di Assocarta, del gruppo Celli e dell’ANBI. ‘L’impronta idrica come strumento di adattamento alla crisi climatica’ è stato il riferimento dell’appuntamento a cui hanno partecipato docenti, ricercatori, rappresentanti delle istituzioni, di enti, associazioni e imprese oltre, naturalmente, a esponenti del mondo ambientalistico ed esperti e osservatori del settore. L’incontro è stato articolato in alcune sezioni dove sono state affrontate anche la riduzione, il recupero e il riciclo “per una gestione sostenibile dell’acqua”. I cambiamenti climatici condizionano la situazione, fra l’altro è stata ben evidente nella passata primavera ed estate. La desertificazione, a sentire gli esperti, avanza implacabilmente come l’abbassamento del livello del prezioso liquido dei laghi, dei fiumi e dei bacini. “Consumare meno e consapevolmente” è il primo richiamo degli interventi. L’invito, però, dovrebbe essere esteso anche a chi gestisce la distribuzione, che, ormai da tempo, mostra inadeguatezza e mancata manutenzione. La dispersione nella ‘rete’ è altrettanto conosciuta da tempo con lo spreco, vista anche l’attuale situazione, diventato insopportabile e insostenibile. Complicato ipotizzare la quantità di acqua potabile perduta per mancanza dei fondamentali interventi, ma, per i competenti osservatori il volume potrebbe oscillare fra un/quarto e un/quinto dell’immesso nelle tubature. Un altro salasso alla disponibilità, soprattutto per gli agricoltori e gli allevatori, riguarda l’acqua piovana, che non è trattenuta e conservata per un migliore utilizzo. Infatti sono pochi i bacini artificiali in grado di contenere le piogge. Alcuni, addirittura, sono stati interrati se non completamente abbandonati. L’ANBI, l’Associazione Nazionale Consorzi, Gestione e Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue, per voce e presenza del direttore generale Massimo Gargano, ha ricordato le molteplici proposte, i progetti pronti-e-fatti, fra l’altro sui tavoli delle istituzioni e più volte illustrati in varie occasioni. I piani dell’ANBI prevedono il recupero all’utilità di quelle strutture, in particolare nelle zone meridionali della nostra penisola, l’eventuale realizzazione di altre, anche di modeste dimensioni e la creazione di bacini, che sono stati inseriti nel progetto ‘Laghetti’. I complessi iter burocratici collegati alle svariate competenze di amministrazioni ed enti pubblici, non facilitano le operazioni, che, ormai, sono diventate vitali per il generale impoverimento idrico dovuto soprattutto al medio innalzamento delle temperature, inserito nel capitolo, ‘cambiamenti climatici’. Sulla nostra penisola i punti di prelievo sarebbero 35 mila. La chimica, il tessile, l’attività estrattiva e la lavorazione dei metalli sono i settori industriali maggiormente ‘assetati’. In agricoltura la superficie irrigata sembra sfiorare i 2 milioni e 700 mila ettari. Le culture che necessitano di particolare attenzione idrica sono il mais, la vite, il riso e i cereali e le erbe da foraggio, le quali sono per lo più stagionali o sui campi seguono le annuali rotazioni. Il Forum è stato aperto dagli interventi dei direttori generali di Legambiente e Utilitalia Giorgio Zampetti e Giordano Colarullo. Alla giornata di approfondimento ha partecipato anche il presidente dell’associazione ambientalista Stefano Ciafani. Consolante la rivelazione di Francesco Fatone dell’Università Politecnica delle Marche e Water Europe Ambassador, secondo cui il liquido potabile disponibile dai rubinetti domestici nazionali per qualità è uno dei migliori dei paesi del Vecchio Continente. E nonostante questo requisito oltre il 40% del consumo delle famiglie avviene attraverso l’imbottigliamento preconfezionato.
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