Alberi nella storia

La faggeta di Oriolo Romano è fra quelle Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. In Italia sono una decina

Oriolo Romano, borgo che sfiora i quattromila residenti, poco oltre l’hinterland della capitale e targato con la sigla della provincia di Viterbo. È posto a 420 metri di altitudine su un’area ufficiale di 19,32 chilometri/quadrati. È lambito dalle località romane Bassano, Bracciano, Canale Monterano e Manziana e dal comune viterbese di Vejano. Dal giugno del 2016 è guidato dal sindaco Emanuele Rallo.
Oriolo Romano compare nella prestigiosa lista dell’UNESCO per la vegetazione presente sul territorio, in particolare di quella dei Beni del Patrimonio Mondiale per le ‘Foreste primordiali dei faggi dei Carpazi e di altre regioni d’Europa’. Sono 63 le faggete che hanno ottenuto il riconoscimento dell’UNESCO in una dozzina di paesi. Una decina sono sulla nostra penisola, dalla Toscana alla Calabria, per lo più all’interno di aree protette, come, fra l’altro, quella del Monte Raschio. È parte del Parco Regionale Bracciano-Martignano. Il ricoscimento da parte dell’UNESCO risale al 2017 e riguarda anche la particolarità microclimatica della faggeta, che è collocata a un livello d’altitudine inferiore ai 700-900 metri soliti e caratterizzata dalla frescura proveniente dalle sotterranee acque e dalle umide correnti del lago di Bracciano.
Dal centro del paese della Tuscia è possibile partecipare alle escursioni nel bosco dove sono riconoscibili anche altri alberi di alto fusto come pini e e castagni. Una salita di quasi 9 chilometri su uno dei rilievi collinari dei Monti Sabatini fino a 562 metri sul livello marino. Da affrontare nelle quattro ore di camminata di 320 metri di dislivello altimetrico.
Ancora incerte e poco affidabili le rivelazioni sull’origine del nome del borgo dell’Alto Lazio. Molteplici le ipotesi, alcune suggestive e particolari e altre smentite e archiviate da collegamenti e testimonianze più o meno storiche. Una riguarda horariolum, termine utilizzato fin dal III secolo dopo Cristo per indicare l’orologio, probabilmente riferito a quello di Palazzo Santacroce-Altieri, ma con la particolarità della realizzazione collocata dopo il 1671, a cento anni dalla formazione del centro viterbese. Una proposta dopo l’altra. Orior, la nascita probabilmente del sole, per ricordare la meridiana; hordeum, l’orzo, improbabile da coltivare nella zona; foriolum, dall’incrocio stradale della via Clodia per Luni, Sutrium, Tuscana e Vicus Matrin. Scomodato, per l’occasione, anche il dialetto vejanese e, in particolare, il riferimento alla momentanea infiammazione oculare dovuta all’orzaiolo e forse strampalatamente collegata all’irregolarità dell’acqua della fontana vecchia.
Al di là dell’importante aspetto ambientale Oriolo Romano offre anche la visione della chiesa di San Giorgio, in tardo stile barocco, realizzazione fra il 1671 e il 1765 sul progetto di Giuseppe Barbieri e il convento Sant’Antonio da Padova costruito dal 1675 per volere di Gaspare Paluzzi Albertoni in occasione dell’Anno Santo promosso dall’allora Papa Clemente X. Nel complesso religioso sono presenti cinque meridiani, quattro nel chiostro e l’altro all’esterno della cinta muraria. Nel convento sono esposte cinque tele realizzate intorno al 1761 da Giovanni Pichler, incisore ed esponente dell’arte gotica del XVIII secolo, originario di Napoli (1734) e scomparso a Roma nel 1791. Ad Oriolo Romano sono visitabili un altro paio di altari, quello dedicato a Sant’Anna e a San Rocco.

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