L’industria dei rifiuti

Report di Athesys, fra raccolta, smaltimento, impianti e programmi anche per la svolta del 2035

La fase di attesa, aggiornamento e adeguamento per rispettare le disposizioni dell’Unione Europea nel 2035, che prevedono il 65% di raccolta differenziata e non oltre il 10% dei rifiuti prodotti da destinare alla discarica, è chiamata un po’ da tutti di ‘transizione’. Una ‘transizione’, però, che dovrebbe essere attiva e operativa, vista la quindicinale distanza. L’Italia, è ben noto, lamenta un gap fondamentale e riguarda gli impianti di smaltimento e lavorazione a vario uso, al di là della cronica ‘macchia di leopardo’, amara caratteristica di una raccolta differenziata a più velocità. Nel settentrione, soprattutto, i risultati sono anche migliori dell’Europa più efficiente, ma in molte aree centrali e del sud della nostra penisola le quantità disponibili e le percentuali sono a dir poco imbarazzanti, “vergognosamente imbarazzanti”.
Analisi, proposte e programmi presenti e futuri sono rimbalzati nella capitale nel corso della presentazione dell’Annuale Report di Althesys Strategic Consultans, nell’occasione riferito a ‘L’industria del waste management in Italia-Quadro competitivo, scenari impiantistici, innovazione’. Ad illustrare i dati raccolti ed elaborati ha pensato il direttore scientifico di Althesys Alessandro Marangoni, che, così, ha aperto la serie degli interventi dei rappresentanti delle istituzioni, della pubblica amministrazione, delle associazioni, dei consorzi, delle imprese e di alcuni operatori e osservatori del settore.
Nel 2018 sono migliorati i risultati ambientali e si è rafforzato l’aspetto industriale dei principali gestori italiani dei rifiuti urbani. La ricerca ha riguardato, in particolare, i 124 maggiori operatori impegnati nella raccolta e nel trattamento e smaltimento dei rifiuti. Lo scorso anno il valore della produzione delle aziende ha toccato i 9 miliardi e 180 milioni di euro. Le imprese specializzate operano in 4.143 territori comunali, il 52,1% del totale, che coinvolgono 40 milioni e 500 mila abitanti, quasi il 67% della popolazione e gestiscono 22 milioni e 300 mila tonnellate di rifiuti, il 75,5% di quelli prodotti nella stagione 2017. La raccolta generale ha registrato un aumento del 3%rispetto all’anno precedente; la differenziata è salita al 58,8% dal 55,9% segnato nel 2017. Le società sono state suddivise in sei categorie: dalle grandi alle piccole e medie multiutility, dagli operatori metropolitani a quelli privati e dalle piccole e medie monoutility agli specializzati del trattamento e dello smaltimento. Un/terzo del valore è stato realizzato da un tris di grandi multiutility, anche se il 44% sono piccole e medie strutture, che hanno generato oltre 2 miliardi di euro. Incrementato anche il livello degli investimenti, oltre il 17%, in pratica e soldoni, 477 milioni e 500 mila euro, destinati soprattutto agli interventi sugli impianti e meno, questa volta, su automezzi e attrezzature.
Allungando la visione con l’obiettivo al 2035 sono stati ipotizzati un paio di scenari: uno per una produzione oscillante fra i 28 e i 33 milioni di tonnellate di rifiuti e l’altra ancora più voluminosa e pesante. E queste possibilità devono assolutamente calamitare l’attenzione sull’inevitabile realizzazione di impianti idonei per il riciclo, lo smaltimento e per l’eventuale produzione di energia utilizzando le più moderne tecnologie. Gli intervenuti hanno anche ricordato le inevitabili proteste dei residenti a un qualsiasi annuncio di costruzione di uno stabilimento per la lavorazione dei rifiuti raccolti, anche in modo differenziato. È sempre di estrema attualità la cosiddetta Sindrome di NIMBY, l’acronimo inglese per Not In My Back Yard, come dire, ‘non nel mio cortile ‘.
ARERA, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, fra l’altro, ha deciso “di accompagnare il cliente verso una migliore conoscenza dei settori industriali e nella valutazione della qualità dei servizi”. La strategia 2019-2021, per la prima volta, coinvolge anche il settore dei rifiuti.
Gli imprenditori continuano a ribadire l’handicap nazionale dovuto alle lungaggini e alle complessità burocratiche e alle normative disomogenee. Nel mirino anche la mancanza di una chiara e decisa strategia generale per l’intero Paese. Qualcuno ha chiesto anche di varare un Piano dei Rifiuti e i costi sopportati per la carenza di impianti comincia ad essere insostenibile. Amministrazioni pubbliche locali costrette a utilizzare strutture
extraterritoriali con l’inevitabile appesantimento anche del trasporto, che incide sulla parte economica e ambientale. Una produzione di rifiuti stimata in 165 milioni di tonnellate. 30 milioni di tonnellate urbani e 135 milioni di tonnellate ‘speciali’, di cui 10 milioni di tonnellate considerati ‘pericolosi’ da smaltire adeguatamente. E, per comprendere meglio l’estensione, l’ammontare è paragonabile a 60 mila campi di calcio. La produzione di energia è ritenuta la chiusura ideale dell’economia circolare, fra cui quella del biometano, però ancora estremamente limitata, intorno al 5%.

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