Dal 2009 al 2017 la sanità pubblica ha perso oltre 46 mila e 550 operatori, ad ogni livello e settore, con la discesa dell’organico del 6,2%. È chiaramente mancato il ricambio generazionale nei vari reparti, come, fra l’altro, avevano previsto i rappresentanti delle varie professioni. Negli anni FIASO, la Federazione delle Aziende Sanitarie Ospedaliere, ha più volte richiamato l’attenzione sull’inevitabile situazione che pian piano sta diventando realtà. Il previsto invecchiamento dei professionisti e il pensionamento degli operatori era previsto e doveva essere fronteggiato con maggiore e migliore efficacia. E, invece, lo spopolamento delle strutture sanitarie è di estrema attualità. Alla sala romana del Parlamentino del CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, è stata promossa da FIASO una giornata di approfondimento sul’La gestione delle risorse umane in sanità’ con il riferimento rappresentato dalla ricerca, trasformata in un volume pubblicato dalla FrancoAngeli, curata da Marco Rotondi, presidente dell’Istituto Europeo Neurosistemica. Lo studio ha inizio dalle disponibilità assorbite progressivamente dal livello più alto dell’inflazione: stanziamento medio per la sanità pubblica dello 0,6% al cospetto di un costo della vita superiore all’1,1%. A questo aspetto è opportuno sommare la crescita dell’aspettativa di vita e il generale invecchiamento della popolazione italiana. E, quindi, in questo quadro, l’inevitabile coinvolgimento nell’abbassamento delle presenze professionali nei vari reparti. Da un Rapporto del 2015 dell’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, ma riferito a un paio di anni prima, era emerso che l’Italia aveva la più alta concentrazione di medici over 55, il 49% dell’organico rispetto alla media ferma al 33%. La ricerca, che ha attivato anche gli interventi dei rappresentanti del mondo sanitario, “ha un paio di essenziali obiettivi, che riguardano la definizione della situazione del personale e l’identificazione e la verifica del gradimento delle diverse tipologie della popolazione professionale”, ha rilevato Nicola Pinelli, direttore della Federazione. Qualche tempo fa, nel 2017, l’età media era di 50 anni e 7 mesi, con la parte maschile maggiormente avanzata rispetto a quella femminile, stabile sui 49 anni e 9 mesi. Cinque le generazioni: I patriarchi, quelli che hanno più di 70 anni; i baby boomers, figli del boom economico occidentale e che rappresentano la più ampia categoria, numericamente e comprendono i lavoratori fra i 55 e i 73 anni; quella cosiddetta ‘X’, dove sono stati inseriti i nati dal 1980 al 1995; i millenials, a volte indicati con la ‘Y’, i quali attualmente hanno fra i 19 e i 38 anni e arrivati a quasi il 22% degli occupati e la ‘Z’, attivamente impegnata nel volontariato e nelle organizzazioni e nelle associazioni sociali. E le caratteristiche, i comportamenti e gli obiettivi professionali sono inevitabilmente differenti fra le fasce di età e le diverse categorie. 7 su 10 fra gli ‘junior’ e 4 su 10 dei ‘senior’ non offrono segnali positivi sulla partecipazione ai corsi di aggiornamento e approfondimento professionale, sul miglioramento della situazione, soprattutto dal lato retributivo. La maggior parte degli interpellati, comunque, considera positivamente il luogo di lavoro, anche se vorrebbe ambienti migliori; riconoscimenti economici più adeguati ed equi; una crescita delle competenze; percorsi formativi per una costruzione diversa del futuro professionale e il rispetto della meritocrazia e della sicurezza. Più i giovani che i ‘senior’ ritengono di poter essere maggiormente coinvolti nella quotidiana attività sui posti di lavoro. Il presidente di FIASO Francesco Ripa di Meana ha ribadito “la carenza generale di pianificazione, l’attesa dei laureati per la specializzazione con il relativo patrimonio perso e disperso e l’ancora estrema difficoltà a entrare nel circuito prima dei 35 anni di età, come invece avviene in altri paesi, anche europei”. Il saluto del presidente del CNEL Tiziano Treu è stato caratterizzato dal rischiamo “al cosiddetto ‘invecchiamento attivo’ e all’altrettanta più volte indicata ‘staffetta generazionale’ sui posti di lavoro”.
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