Farmaci generici

Dallo studio di Nomisma emerge, fra l’altro, un aumento degli occupati, della produzione e dei ricavi, ma anche dei costi

Sono un’ottantina, per lo più costituite fra il 1980 e il 1999, ma anche ancor più ‘giovani’ con il 35% attive dal 2000 al 2006. La realtà delle imprese di farmaci generici è stata ‘fotografata’ da Nomisma per l’Associazione del settore presieduta da Enrique Hausermann.
Questo è il terzo approfondimento della società di studi economici per lo specifico settore produttivo. Il primo risale al 2015 e ha riguardato ‘Il sistema dei farmaci generici in Italia. Scenari per una crescita sostenibile’ e, poi, l’anno successivo è stata analizzata la ‘Spesa ospedaliera, effetti delle gare e sostenibilità’. In questa occasione lo studio ha toccato ‘La filiera manifatturiera: competitività, impatto e prospettive’.
Il Rapporto è suddiviso in quattro sezioni: una guarda la trasformazione nel tempo della struttura produttiva delle imprese del settore farmaceutico e, in particolare, di quelle di farmaci generici; la seconda, la dinamica dei principali indicatori di competitività e performance, oltre all’impatto che il sistema ha sull’intero settore produttivo in termini di fatturato e occupazione; un’altra, all’analisi delle dinamiche del mercato, della spesa territoriale, ai principali indicatori del ‘tasso di salute’ della spesa ospedaliera pubblica e, l’ultima, soprattutto alla cosiddetta ‘industria 4.0’.
Il settore, costituito da quasi la metà di medie imprese fra i 50 e i 249 addetti, registra un giro d’affari complessivo di almeno 8 miliardi di euro. Il generale effetto occupazionale coinvolge, a vario livello professionale, oltre 33 mila persone. L’industria farmaceutica in Italia dal 2009 ha mostrato una crescita continua, che ha innalzato il valore della produzione in Europa e aperto la competizione con Germania e Francia. Fatturato, export, valore aggiunto, investimenti e occupati sono in aumento ad un ritmo superiore della media della manifattura nazionale.
Dall’analisi di Nomisma emerge che le aziende dei generici registrano più produzione e ricavi, ma non recuperano il gap sulla crescita dei costi di produzione lievitati fra il 2010 e il 2016 del 69%, ben oltre il quasi 26% del comparto-farma. Il risultato è condizionato essenzialmente a una sempre maggiore diffusione degli equivalenti, ma la differenza fra ricavi e costi è negativa, -2%, a causa delle materie prime. Nel biennio 2015-2016 hanno pesato maggiormente, il 4,2%. Sul piatto della bilancia sono finiti anche i costi del personale, +7,6%, in relazione all’aumento degli impiegati e degli impegnati nella produzione.
È salito l’utilizzo dei generici negli ospedali, dal 23,4% al 27,3%, ma è sempre chiaroscuro fra volumi e valori. “Dal 2010, la continua pressione verso il basso dei prezzi dei farmaci generici ha costantemente eroso la marginalità lorda delle imprese del comparto. Il pericolo è che si sia toccato un ‘livello critico’ dei prezzi, al di sotto del quale la sostenibilità economica di molte imprese potrebbe risultare a rischio”, ha rilevato il presidente di Assogenerici Enrique Hausermann.
Nomisma ha anche rivelato la necessità di accrescere il livello della digitalizzazione, in quanto “le tecnologie possono offrire margini di miglioramento, in termini di efficienza, velocità, qualità e differenziazione produttiva”. Altro delicato tema, che coinvolge “lo stimolo della competizione attraverso il sistema dei prezzi, è sicuramente uno dei punti cardine delle moderne economie di mercato, in grado di comportare indiscutibili benefici”, ma, se eccessiva, a medio termine, i lati positivi “potrebbero risultare inferiori agli svantaggi.
Prezzi troppo bassi potrebbero minare la sostenibilità industriale di molte imprese del comparto, anche di quelle efficienti che operano in sintonia con il mercato”. Importante, quindi, trovare i parametri opportuni per garantire l’equilibrio “di una adeguata concorrenza”.
Assogenerici, l’Associazione nazionale delle industrie dei farmaci generici e biosimilari, è stata fondata nel 1993 e vanta oltre cinquanta adesioni fra aziende italiane e multinazionali, che in una quarantina di strutture produttive occupano più di diecimila operatori.

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