Sette ragazzi raccontano quanto accade dietro le quinte dell’arte in carcere e come l’incontro con Rebibbia e i suoi detenuti-artisti abbia cambiato le loro vite. Grazie al bando “Sillumina”, con il supporto di MiBACT e SIAE, un gruppo di studenti del DAMS – Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Roma Tre, ha portato le telecamere all’interno dell’Auditorium di Rebibbia. Da allievi del Laboratorio di Arti dello Spettacolo sono diventati collaboratori professionali nel progetto Rebibbia 24 che racconta il dietro le quinte dell’arte in carcere, a 24 fotogrammi al secondo. Dopo mesi di presenza sul palcoscenico del carcere romano insieme ai detenuti-attori del Teatro Libero di Rebibbia per la realizzazione dello spettacolo Hamlet, sette studenti hanno affiancato venti detenuti nella realizzazione di un docufilm che racconta frammenti delle biografie di ciascuno dei protagonisti. Il progetto s’inserisce tra le attività teatrali che Roma Tre porta nelle carceri romane grazie al coordinamento da Valentina Venturini, docente di Storia del Teatro, ed è parte del protocollo d’intesa “Teatro e carcere” tra l’Università degli Studi Roma Tre/Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo, il Ministero della Giustizia/Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e il Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere. I giovani impegnati nel progetto sono Giulia Ammendolia, Filippo Giovannelli, Miriam Lomuscio, Mariangela Montaina, Federica Spada, Giulia Sperduti e Yaya Jia. Proprio Yaya, studentessa cinese in Italia da circa due anni, è il filo rosso che unisce la storia personale di ciascuno a quel luogo misterioso, inquietante, sorprendente, che è il carcere e il suo teatro. Yaya, appassionata di arti dello spettacolo, entra per la prima volta in un contesto lontano dagli standard di giustizia e pena del suo immenso Paese: in Italia esistono carceri che racchiudono teatri che racchiudono uomini che sono altrettanto prigionieri quanto artisti. Lo stupore di Yaya è riflesso negli occhi dei suoi compagni di studio, che la accompagnano – ciascuno con la propria storia – in questa sorta di viaggio iniziatico verso la comprensione del mistero della libertà dell’arte che abbatte muri, cancelli, pregiudizi. Il docufilm Rebibbia 24 è girato con la tecnologia ottica della più recente generazione di smartphone, stabilizzatori di immagine, droni, macchine da ripresa subacquea. I ragazzi sono protagonisti in vari ruoli: autori della sceneggiatura, operatori di ripresa, montatori. Accanto a loro, sette studenti dell’Istituto Superiore Statale Cine-tv “Roberto Rossellini” hanno collaborato alle riprese e i musicisti della Banda della Scuola Popolare di Musica di Testaccio, guidati da Silverio Cortesi, hanno dato vita ad una nuova versione di Jailhouse Rock di Elvis Presley, girata proprio sul palco di Rebibbia. Il coordinamento del progetto è di Fabio Cavalli, regista teatrale e cinematografico e docente del Laboratorio Arti dello Spettacolo 1 presso il DAMS Roma Tre. Al montaggio Alessandro De Nino. «Quest’attività didattico-artistica, dai forti connotati civili, rappresenta perfettamente il senso che Roma Tre attribuisce alla “terza missione”, quale raccordo tra l’ateneo e la società», commenta il rettore di Roma Tre, Luca Pietromarchi. «Siamo fieri dei nostri studenti e dei loro docenti che, con tanto impegno e passione, fanno entrare l’università in luoghi chiusi, troppo spesso dimenticati, come le carceri. I nostri studenti e i detenuti attori, collaborando nello studio e nel processo creativo, testimoniano quanto possano essere incrociati i percorsi della formazione e della riabilitazione».
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