Spesa pubblica e divario sociale

L’autonomia regionale differenziata è stata analizzata durante l’incontro promosso nella capitale all’Accademia Nazionale dei Lincei di Palazzo Corsini da economisti e docenti universitari

Negli ultimi anni la ‘forbice’ economica e sociale fra le varie aree della nostra penisola si è notevolmente dilatata “sia in termini di strutture produttive e di distribuzione del reddito che di concessione delle risorse e di investimenti pubblici”. E “la prospettiva dell’introduzione dell’autonomia differenziata” potrebbe causare ancora maggiori differenze e disparità fra le varie regioni, in particolare di quelle del nord con quelle del meridione. L’attuale situazione e il futuro scenario socio-finanziario è stato il filo conduttore dell’incontro promosso a Roma, a Palazzo Corsini, riferimento dell’Accademia Nazionale dei Lincei, dal Centro Interdisciplinare ‘Beniamino Segre’ in collaborazione con la Società Italiana di Economia, a cui hanno partecipato docenti universitari, rappresentanti delle istituzioni ed esperti e osservatori del settore.
‘L’economia italiana negli anni 2020. Divari regionali e spesa pubblica’ è stato il riferimento coordinato da Annalisa Rosselli dell’Università di Tor Vergata. Dopo l’apertura affidata a Mario Pianta della Società Italiana di Economia, Roberto Torrini della Banca d’Italia ha illustrato l’articolata situazione caratterizzata da “una crisi finanziaria, da una crescita contenuta, da una flessione delle ore lavorate e dei redditi e da un parallelo calo della produttività e degli investimenti pubblici”. Al non incoraggiante quadro va sommata una discesa demografica alternata a una emigrazione oltreconfine soprattutto dei giovani, ma anche dalle regioni del sud verso le opportunità delle aree settentrionali del nostro Paese. Il periodo del Covid-19, il blocco delle attività per evitare l’estensione dei contagi e la susseguente disponibilità di risorse dovute al PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, potrebbe aver modificato l’andamento soprattutto se i progetti fossero realizzati nei tempi previsti, entro il 2026, investendo bene e anche presto.
Roberto Torrini, sul tema ‘L’economia italiana, la spesa pubblica, gli squilibri regionali’, ha successivamente aggiornato i dati rapportati alla novità assoluta e straordinaria e probabilmente irripetibile. “Leggero miglioramento in quasi tutte le sezioni con aumento dell’occupazione e un congelamento dell’erosione degli stipendi e dei salari per le famiglie con il PIL”, il Prodotto Interno Lordo, in impercettibile risalita anche per lo sviluppo di alcuni settori, quali “il turismo e le costruzioni e il costante sostegno delle esportazioni”, che un po’ livellano e assorbono la costante riduzione dei consumi interni.
La fiscalità maggiore rispetto agli altri paesi, il costo dell’energia e l’aumento dei prezzi delle materie prime sono gli altri pesanti fardelli che condizionano le imprese e le attività italiane. ‘I divari territoriali e il ruolo delle politiche’ sono state le indicazioni seguite da Adriano Giannolla di SVIMEZ, l’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno, che vede “l’Italia come grande malata d’Europa” e “il PNRR” la trasformazione dell’allora “Cassa del Mezzogiorno”. L’analisi ha portato a rilevare “un modello italiano debole con il nord in retromarcia rispetto all’Europa” e, a cascata, l’intero paese. “Il settentrione” rischia “una meridionalizzazione” e “l’autonomia ‘differenziale’ o ‘opzionale’ potrebbe” spaccare ancora la potenziale “equità” di offerte e di “servizi”, peraltro già evidente.
Gli scenari sulla futura ripartizione della spesa pubblica appaiono particolarmente complessi e aggrovigliati condizionati da una serie di variabili anche difficili da individuare e calcolare. La partenza dovrebbe essere “la quantificazione della spesa storica affidata a una ‘Cabina di regia’ per la determinazione dei LEP”, i Livelli Essenziali di Prestazioni, ha sottolineato Giampaolo Arachi dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio. “Le configurazioni potrebbero variare per il numero delle regioni interessate e per l’ampiezza e l’eterogeneità delle funzioni richieste con discrepanze fra fabbisogni e spesa”. Poi dovrebbe essere attivato “un piano periodico di aggiustamento”. I servizi, comunque, dovrebbero essere “garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale”.
Della funzionalità di questa specie di regionalizzazione “a statuto speciale abbiamo già l’esempio con la situazione nelle province di Trento e Bolzano e nella Sicilia”, ha affermato Floriana Cerniglia, economista dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, mentre Gianfranco Viesti dell’ateneo ‘Aldo Moro’ di Bari ha ribadito il pericolo “di eccessive distanze negative per i cittadini” e di aggravamento della confusione”sulle competenze” anche delle infrastrutture e delle spese in alcuni nevralgici e delicati, come l’istruzione.
Una diminuzione di partecipazione alle facoltà universitarie di Catania è stata ammessa nell’ottavo appuntamento a Palazzo Corsini da Roberto Cellini, docente ed esponente della Società Italiana di Economia e coordinatore della Consulta delle Associazioni Scientifiche di Ambito Economico.

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