Una penisola. Due cure

Le differenze e le diseguaglianze fra nord e sud nel diritto alla salute sono state confermate dal Rapporto di SVIMEZ. La causa è soprattutto il progressivo definanziamento del Servizio Sanitario Nazionale

Una penisola spaccata quasi equamente, in cui la prevenzione, l’assistenza sanitaria e l’aspettativa di vita è diseguale e in modo evidente e inequivocabile con la ‘forbice’ che continua ad allargare le punte. “Nel Mezzogiorno i servizi di prevenzione e cura sono più carenti, è minore la spesa sanitaria pubblica, sono maggiori le distanze per ricevere l’assistenza, soprattutto per le patologie gravi. Investire nella sanità dovrebbe essere fra le priorità nazionali, ma con una correzione del metodo di riparto delle risorse del Fondo seguendo gli indicatori di deprivazione. L’autonomia differenziata rischia di ampliare le diseguaglianze nelle condizioni di accesso al diritto alla salute”. Queste, in estrema sintesi, le considerazioni formulate con la raccolta e l’elaborazione dei dati inseriti nell’approfondimento di SVIMEZ, l’associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno, illustrati nella capitale, in una sala di Save the Children.
‘Un Paese, due cure. I divari nord-sud nel diritto alla salute’ è stato il comun denominatore dell’incontro, a cui hanno partecipato, fra gli altri, il direttore generale di SVIMEZ Luca Bianchi; il presidente della Fondazione GIMBE, il Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze, Nino Cartabellotta; la rappresentante di Cittadinanzattiva Anna Lisa Mandorino; la responsabile dei Programmi Italia-Europa di Save the Children Raffaela Milano e Serena Caravella, che ha illustrato i risultati del Rapporto. Il confronto è stato gestito e coordinato dal giornalista Antonio Fraschilla.
L’Italia è già in una posizione secondaria rispetto agli altri paesi europei in merito alle risorse destinate alla sanità pubblica in rapporto al Prodotto Interno Lordo e, all’interno della stessa penisola, convivono realtà assolutamente separate e distanti, come fossero altrettante zone completamente diverse. Una situazione intollerabile e allucinante, come il continuo via-vai dalle regioni meridionali a quelle del nord alla ricerca di una adeguata assistenza e cura. Una situazione imbarazzante e, a dir poco, mortificante e frustrante. Per meglio comprendere la ‘fotografia’ emersa dai responsi del Report, SVIMEZ e Save the Children hanno realizzato un corto, nel quale sono contrapposte due persone con nomi di fantasia, di eguale età e condizione sanitaria, affette da un tumore del seno, ma di residenza diversa. Maria, calabrese e Sofia, emiliana, di Bologna. La storia è inventata per il filmato, ma verosimile. Una, in Emilia-Romagna, con i servizi di periodica prevenzione, assistenza e cura a due passi da casa e continui controlli e verifiche anche psicologiche e, poi, l’altra, quasi senza visite specialistiche programmate, che per essere seguita è costretta a viaggiare per centinaia di chilometri alla ricerca di una soluzione. “Nel 2022 la ‘fuga’ dal sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie del centro e, soprattutto, del settentrione della nostra penisola, per le patologie più gravi, ha riguardato 629 mila persone, solo per i ricoveri. Il 44% dei migranti sanitari erano residenti in una zona del Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche è la Calabria ad avere l’incidenza più elevata. Il 43% dei pazienti trova l’opportunità nelle regioni non confinanti, poi la Basilicata, 25% e la Sicilia, 16,5%. Al contrario il dato è quasi impercettibile, 0,01%.
“Al sud”, quindi, “i servizi di prevenzione e cura sono più carenti, è minore la spesa pubblica sanitaria e le distanze sono maggiori per ricevere assistenza”. Eppure il Servizio Sanitario Nazionale è “un bene e una realtà da difendere, in quanto universalistico”, ha rilevato Raffaela Milano, ma continuamente e costantemente definanziato con le difficoltà anche di personale medico e infermieristico. “Fra il 2010 e il 2019 in Italia la quota di PIL destinata alla spesa sanitaria pubblica corrente è stata mediamente del 6,6%, inferiore alla Gran Bretagna, 11,4%; alla Germania, 9,4% e alla Francia, 8,9%. Nel periodo del Covid-19, soprattutto il primo anno, è stato registrato “un aumento generalizzato della spesa sanitaria in Europa, ma relativamente meno accentuato in Italia, +0,9%. In Francia, Germania e Portogallo l’1%, in Spagna l’1,4% e il Gran Bretagna il 2,2%. Poi, nel 2022, la spesa in rapporto al PIL è tornata solo di poco superiore a quella del 2019”. Eppure in quel periodo è stata constatata la validità dell’intero settore, vero e proprio riferimento dell’assistenza e delle cure, con il generale conforto da parte della pubblica opinione. Un po’ tutti avevano ben compreso l’opportunità di rafforzare un assoluto valore e anche sociale che l’Italia è in grado di proporre e vantare come la sanità pubblica. E, invece, la retromarcia o l’immobilismo delle cifre, degli investimenti, come se nulla fosse stato promesso e, addirittura, assicurato per migliorare le strutture e rafforzare l’organizzazione e l’organigramma, la partecipazione e la presenza del personale sanitario a tutti i livelli e funzioni. Attesi i finanziamenti anche per l’edilizia ospedaliera, per realizzare “gli ambulatori sociali e le ‘case della salute’, per rafforzare la ‘rete’ territoriale e valorizzare un Servizio Sanitario Nazionale da difendere e tutelare”.
Le difficoltà ormai strutturali sono confermate anche dall’aumento della spesa sanitaria privata arrivata “al 24% nel periodo 2010-2022 in controtendenza rispetto” alla Germania, -9% e alla Francia, -4%, scese al 15% e al 13%. “La spesa privata ha progressivamente sostituito quella pubblica” anziché essere un’aggiunta, un’integrazione “indebolendo le finalità di equità del Servizio Sanitario Nazionale. La componente privata cresce costantemente con la capacità reddituale”. Le lunghe liste d’attesa per visite e cure hanno appesantito la situazione per lasciare spazio anche alle coperture assicurative.
Tutti gli intervenuti hanno considerato negativa l’autonomia differenziata, che, “in ambito sanitario rischia di ampliare le diseguaglianze interregionali nelle condizioni di accesso al diritto alla salute” a vantaggio, naturalmente, delle aree del nord. “Da ricordare che alcune regioni meridionali sono coinvolte nel cosiddetto ‘Piano di rientro’ o sono commissariate”, ha sottolineato Nino Cartabellotta.
Il 6,1% delle famiglie italiane, secondo il CREA, il Centro per la Ricerca Economica Applicata in sanità, sono in difficoltà per affrontare le spese per la prevenzione e le terapie e hanno rinunciato alle cure. Nel Mezzogiorno la quota riguarda l’8% dei nuclei familiari, il doppio rispetto al 4% del nord-est. Sulla “povertà sanitaria dei minori, in particolare dell’infanzia” ha parlato Raffaela Milano. “Nonostante il calo della natalità, ormai arrivata ai minimi storici, c’è un deficit di quasi 1.400 pediatri e la situazione nel sud è allarmante anche per la povertà educativa e sportiva, in quanto mancano sia le strutture che l’organizzazione negli istituti scolastici, fra cui le palestre e il servizio mensa e sono in aumento i casi di sovrappeso e di obesità minorile”. Gli adulti, invece, per i disagi di risorse economiche per soluzioni alternative negli studi medici e nei laboratori privati “evitano di seguire cure e assistenza”, ha rivelato Anna Lisa Mandorino di Cittadinanzattiva.

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