Sorprendente risultato dalla ricerca dell’Università di Bologna e del Consorzio CER per valutare la presenza di sostanze inquinanti nelle acque e illustrata nella capitale
Utilizzare le lucciole per individuare eventuali contaminati nelle acque. La sorprendente e straordinaria scoperta è stata sviluppata dal Dipartimento di Chimica ‘Giacomo Ciamician’ dell’Università di Bologna con il sostegno del Consorzio CER, il Canale Emiliano Romagnolo. Dalla ricerca è emerso che le lucciole emettono, attraverso una particolare reazione chimica, un segnale luminoso.
Il procedimento è stato illustrato nella capitale da Raffaella Zucaro, direttrice generale del CER e da Elisa Michelini e, in audiovideo, da Attilio Toscano dell’Università di Bologna. In pratica gli esperti prelevano il gene che, poi, è trasferito in una cellula batterica. Le cellule possono essere riprogrammate attraverso “la biologia sintetica” e la conseguente reazione offre un eccezionale risultato con l’apparizione di colori differenti secondo il tipo di inquinanti presenti e segnalati con le varie tonalità.
Le cellule, però, sono utilizzabili solo in laboratorio, in quanto catalogati come ogm, organismo geneticamente modificato. L’impasse, hanno assicurato i ricercatori, può essere aggirato sfruttando nell’ambiente i batteri marini naturalmente bioluminiscenti per verificare le tossicità oppure possono essere riprodotti attraverso sistemi di trascrizione e traduzione in vitro per le analisi sul campo con supporti di carta a basso costo ed ecosostenibili, interfacciabili con gli smartphone per l’approfondimento e la verifica dei risultati.
L’innovativo procedimento scientifico è stato presentato in una sala dell’ANBI, l’Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue. A questo proposito il presidente Francesco Vincenzi ha sottolineato “l’importanza degli esiti della ricerca per la salute pubblica soprattutto in questo periodo dove è continuamente alimentata l’ipotesi di sfruttare in agricoltura le acque reflue”. Nel nostro Paese le perplessità sul ricorso riguarda “l’incapacità nella gran parte dei depuratori di intercettare le microplastiche, inquinanti in forte aumento e lesivi alla salubrità alimentare”. Importante, se non fondamentale, sarà anche il riconoscimento con una “certificazione di un ente” attendibile che “aumenterebbe significativamente le garanzie per i consumatori”.
Sulle novità, risultato dell’interessante ricerca e del sostegno delle tecnologie, è intervenuto anche il direttore generale dell’ANBI Massimo Gargano, il quale ha ricordato come l’impegno “dell’Università di Bologna apre scenari” inediti “ad ulteriore garanzia della qualità” degli alimenti, in quanto “potrebbe mettere lo stesso agricoltore nelle condizioni di monitorare costantemente” la situazione “della risorsa idrica” disponibile.
L’ANBI, in passato, ha proposto l’iniziativa ‘Goccia Verde’, una certificazione “di garanzia”, che, fra l’altro, ha attirato “l’interesse internazionale”. Per la salvaguardia della vitale risorsa idrica, comunque, è opportuna una programmazione che preveda una manutenzione completa degli impianti della ‘rete’ distributiva per evitare l’ancora evidente dispersione, superiore mediamente al 40% e la riqualificazione e la realizzazione delle strutture per aumentare il livello di raccolta dell’acqua piovana, stabile, in Italia, all’11%.