Altro che economia circolare. In Italia. Nel Paese dove le lancette dell’evoluzione industriale e ambientale potrebbero ruotare al contrario, in modo antiorario. Contromano sul sentiero ormai segnato un po’ in tutti gli angoli del pianeta, in quanto è stato dimostrato e finalmente compreso che le risorse a disposizione per lo sfruttamento naturale sono ormai al limite e l’unica ed evidente soluzione è rappresentata dalla riutilizzazione degli scarti attraverso un’opportuna trasformazione da rifiuto a risorsa. L’Italia è praticamente leader nel settore con l’80% degli scarti industriali lavorati e reimmessi sul mercato e il 47% dei cosiddetti urbani. Quantità rilevanti, rispettivamente 199 milioni di tonnellate e quasi un/quarto in meno di quelli cittadini, che sfiorano i 25 milioni di tonnellate, evitate allo scarico nelle discariche dell’indifferenziata. L’ennesimo suono della sirena dell’allarme con tanto di lampeggiante è stato automaticamente attivato da ben 56 imprese, che hanno richiamato l’attenzione del Governo e del Parlamento sull’imminente paralisi produttiva e commerciale del settore. L’attuale situazione è stata illustrata nella capitale. Un incontro coordinato dall’ex ministro Edo Ronchi e dal direttore delle Politiche Industriali della Confindustria Andrea Bianchi, che hanno ricostruito l’anomala e incredibile vicenda e indicato le opportune soluzioni per le varie attività. La negativa virata è iniziata con la sentenza del Consiglio di Stato, che, praticamente, ha fermato le autorizzazioni rilasciate dalle singole regioni sugli stessi materiali non ancora normati a livello nazionale. A questo punto è scattata la paralisi sul futuro. E sul presente. In pratica, le scadenze restano scadenze, senza alcuna proroga. Punto. Fine. Prima parte. Il Governo con lo ‘Sblocca cantieri’ ha cercato di mettere una pezza sulla cessazione della qualifica di rifiuto, End of Waste, ma insufficiente se non inadeguata, secondo le associazioni e gli imprenditori interessati e coinvolti. La disposizione, infatti, è limitata alla salvaguardia delle tipologie e delle attività di riciclo previste e regolate dal Decreto del febbraio del 1998 con l’esclusione, quindi, di quelle sviluppate negli anni attraverso la ricerca e la tecnologia. Dal 1998, anche se sono stati effettuati degli adeguamenti, sono passati oltre vent’anni. Una vita, industrialmente parlando. La normativa, praticamente, impedisce alcune attività di riciclo sia di origine urbana che industriale e la realizzazione di nuovi impianti. L’impedimento alla lavorazione degli scarti pronti a diventare utili all’industria di un Paese povero di materie prime, causa di notevoli disagi economici e ambientali, con l’aumento ancora imprecisato della quantità destinata alla comune discarica. La prima iniziale stima parla di un maggiore esborso di almeno 2 miliardi di euro all’anno. Almeno una decina i casi di materiali bloccati all’industria del riciclo, fra cui i residui edili da demolizione; le terre e le rocce bonificate; il polverino degli Pneumatici Fuori Uso, PFU; i multimateriali; lo spazzamento stradale; alcune parti dei RAEE, i Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche; gli oli e i grassi animali e vegetali usati; le scorie degli inceneritori nei cicli a freddo; i fibrorinforzanti, vetroresina e carboresina e la plastica derivante dal tetrapak. In questi anni sono stati approvati solo un paio di soluzioni. Ben sedici sono le richieste parcheggiate da anni negli uffici della pubblica amministrazione, che condizionano la produzione di migliaia di campioni per l’aggiornato catalogo delle disponibilità. Le innovazioni sono evidentemente più veloci dei passi legislativi. Indicate anche le risoluzioni proposte per mettere la parola ‘fine’ all’emergenza, che riguardano il ‘semplice’ recepimento da parte dell’Italia delle direttive europee inserite nel ‘pacchetto’ pubblicato nel giugno del 2018. L’impresa italiana, leader nel riciclo di quasi ogni tipo di materiale, è in grado di avanzare nella fase di crescita verso la decarbonizzazione e l’uso emergente delle risorse naturali. Le imprese, i consorzi e le associazioni del settore hanno ribadito la massima disponibilità per incontri e confronti con i rappresentanti del Governo e del Parlamento italiano.
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