Povertà lavorativa, diseguaglianze occupazionali, salario dignitoso. Termini ed argomenti di estrema attualità soprattutto dopo lo tsunami sanitario ed economico causato dal temibile Covid-19, che ha ammaccato i resoconti delle imprese e falcidiato il popolo produttivo. Un fenomeno sociale per il quale sono stati varati provvedimenti di sostegno in modo da cercare di assorbire un sempre possibile tracollo generale. La complessa e delicata situazione, comunque, non è stata ancora superata e la Campagna Abiti Puliti ha rivolto l’attenzione su quel che accade in uno dei settori più importanti, noti e apprezzati del Made in Italy, quello della moda. Gli esperti del Clean Clothes Campaign hanno valutato e calcolato prima le esigenze personali e familiari e poi indicato la quantità retributiva per far fronte alle necessità prioritarie della quotidianità. Nell’approfondimento, presentato in una sala della redazione dell’agenzia Dire, a Roma, sono stati ricordati i principali fabbisogni, che, fra l’altro, vanno dall’alimentazione all’alloggio, dall’assistenza sanitaria all’istruzionie, dal vestiario ai trasporti, fino all’eventuale possibilità di risparmio. Il valore della retribuzione deve essere in grado di garantire al lavoratore e al rispettivo nucleo familiare il soddisfacimento dei bisogni primari e le condizioni per vivere un’esistenza dignitosa. E seguendo e applicando una particolare metodologia, fondata anche su speciali coefficienti e parametri, il salario netto per essere considerato dignitoso dovrebbe essere di 1.905 euro. Ipotizzando una settimana lavorativa, il guadagno sarebbe intorno agli 11 euro l’ora. A snellire le cifre e a motivare l’iniziativa durante l’incontro su ‘Il salario dignitoso è un diritto universale’ è stata Deborah Lucchetti chiamata a coordinare la Campagna Abiti Puliti. Rivelati gli aspetti negativi, come la delocalizzazione delle realizzazioni anche dei marchi di lusso, la perdita del potere d’acquisto a causa delle paghe, comprese quelle in Italia da vent’anni bloccate e la liberalizzazione globale del commercio. “L’industria della moda è una delle più inquinanti e grava per il 10% sul totale, produce annualmente 92 milioni di tonnellate di rifiuti e solo l’1% è riciclabile. Nel settore sono impegnate almeno mezzo milione di persone con svariate professionalità. All’incontro romano hanno partecipato, fra gli altri, la senatrice Susy Matrisciano, presidente della Commissione Lavoro Pubblico e Privato e Previdenza Sociale; Simone Silani, direttore della Fondazione Finanza Etica; Michele Raitano, docente di Politica Economica all’Università del’La Sapienza’; Chiara Saraceno, sociologa e responsabile del Comitato Scientifico di Valutazione del Reddito di Cittadinanza; Matteo Ward, imprenditore nel settore della lavorazione dei tessuti e Sonia Paoloni, segretario nazionale della FILCTEM-CGIL. Un messaggio è stato inviato dal ministro Andrea Orlando. È stata Sonia Paoloni della Federazione Italiana Lavoratori della Chimica, del Tessile, dell’Energia e delle Manifatture della CGIL a svelare come ancora ci siano mancanze nel riconoscimento di tutte le categorie professionali e specializzate. Al momento sono ben otto i modelli di contratto per identificare i molteplici incarichi produttivi nel sistema, ma alcuni ancora non sono rappresentati e inquadrati. Il comparto comprende l’industria e l’artigianato, i lavoratori del chimico e del farmaceutico, del tessile e dell’abbigliamento, del calzaturiero e del pellame, della ceramica e delle plastiche fino a chi è dedito alle piastrelle e agli occhiali. Un cespuglio all’apparenza inestricabile, di una categoria che mostra rivoli per ogni singola attività, competenze e materiale utilizzato. Un puzzle di accordi e intese per la finale composizione, quella della moda. “Estesa, ma complicata la quantificazione dell’illegalità per sfuggire sia al rispetto dei contratti che all’Erario. Nel settore il fattore umano è essenziale, insostituibile e almeno il 65% è rappresentato al femminile. Alta anche la percentuale di richieste e di offerte per gli orari ridotti più o meno mascherati”. Abiti Puliti è stata istituita in Olanda nel 1989 per difendere il diritto al lavoro e per tutelare soprattutto i minori. È la più grande alleanza di sindacati e organizzazioni non governative del settore dell’abbigliamento. Le iniziative sono rivolte al miglioramento delle condizioni lavorative. L’associazione è operativa, almeno per il momento, in quattordici paesi europei: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Italia dal 2005, Norvegia, Polonia, Spagna, Svezia e Svizzera e tre extra, Australia, Canada e Stati Uniti.
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