Il regista spagnolo

Addio a Luis Suarez, “l’anima, il cervello, l’architetto” della plurivincente Inter degli anni Sessanta guidata da Helenio Herrera. Aveva 88 anni

 

È stato l’unico spagnolo di nascita ad aver conquistato il Pallone d’Oro Luis Suarez Miramontes scomparso a Milano. Aveva 88 anni. Era originario di La Coruna, terra di Spagna, dov’era nato il 2 maggio del 1935 e dove aveva iniziato la carriera di calciatore diventata con gli anni anagrafici e le stagioni sportive assolutamente prestigiosa. Prima con il Deportivo La Coruna e, poi, con l’Espana Industrial, 25 partite e 10 reti, complessivamente, nei tornei datati 1952/53 e 1953/54 e, quindi, il salto al Barcellona. A 19 anni. La maglia azulgrana, dal 1954 al 1961, indossata in 122 occasioni e impreziosita da una sessantina di gol.
È arrivato all’Inter al termine di quella stagione espressamente richiesto da Helenio Herrera, pronto a diventare ‘Mago’. A suo dire, era proprio il pezzo mancante alla squadra per diventare la ‘regina’ d’Italia, d’Europa e del pianeta, almeno fino al 1966.
Il bilancio dell’esperienza milanese, spondanerazzurra, è da ricordare con 257 presenze , più quella dello spareggio per lo scudetto, perso, del giugno del 1964
all”Olimpico’ di Roma contro il Bologna e 42 segnature. Conteggiando anche le coppe, 333 partecipazioni e 55 reti.
Suarez era un calamitatore di gioco, un regista vero e proprio, un inventore della posizione e del ruolo, in grado di lanciare millimetricamente i velocissimi compagni di squadra per gli eventuali contrattacchi, ad esempio di Jair e di Sandro Mazzola. Piede educato, visione circolare del gioco condita da una gestione tattica decisamente superiore alla media di quell’epoca. Nell’Inter, che aveva versato una cifra record al Barcellona in modo da poter riqualificare il ‘Camp Nou’, Luisito Suarez ha cucito tre scudetti tricolori, nel 1962/63, nel 1964/65 e nel 1965/66; alzato due coppe dei Campioni, nel 1963/64 e nel 1965/66 e altrettanti trofei dell’Intercontinentale, nel 1964 e nel 1965.
Riconoscimenti di squadra erano stati posti in bacheca anche a Barcellona, due campionati, nel 1958/59 e nel 1959/60 e un paio di coppe nazionali, nel 1956/57 e nel 1958/59. Nel frattempo era riuscito a vincere anche due volte la Coppa delle Fiere e con la casacca della nazionale l’Europeo nel 1960. In quell’anno è stato assegnato anche il riconoscimento da parte di France Football alla ‘mente’ del centrocampo. Non molto alto, 176 centimetri di altezza, per il classico aspetto e corsa da centrocampista.
L’avventura “dell’anima, del cervello e dell’architetto” della squadra disegnata e costruita da Helenio Herrera all’Inter trova la conclusione nel 1970. Passaggio alla Sampdoria. A Genova incontra l’avversario dei ‘derby della Madonnina’, Giovanni Lodetti, che con il tempo stringe un’amicizia anche lontano dagli stadi. 63 apparizioni con i doriani e 9 reti.
Per Suarez, a quel punto, inizia un’altra vita, da dirigente, tecnico, allenatore e osservatore in Italia e in Spagna. Sulla panchina dell’Under 21 spagnola è riuscito a vincere l’Europeo, ai calci di rigore, proprio contro l’Italia di Azeglio Vicini. Era il 1986. Alla guida delle ‘Furie Rosse’, nel Mondiale di calcio del 1990 negli stadi della nostra penisola, non supera l’ottavo di finale. Esperienze dopo aver slacciato gli scarpini con il Genoa, il Cagliari, l’Inter, la Spal, il Como, il Deportivo La Coruna e l’Albacete. Nella massima serie italiana vanta 467 presenze, appendice del 1964 compresa e 121 gol. È stato candidato nel 2020 al Dream Team del Pallone d’Oro.
Alcune volte era invitato a commentare le vicende del calcio che ricambiava sempre in modo pacato, appropriato e competente. Nel capoluogo lombardo, nel primo pomeriggio di martedì 11 luglio il saluto, non solo del mondo del calcio, a un importante interprete sia sul tappeto verde che all’esterno in giacca e cravatta.

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