Campioni di bel gioco

A Wembley trionfa l’Italia di Roberto Mancini. Superata l’Inghilterra ai rigori. È il secondo Europeo dopo quello del 1968

Una litania di alcuni giorni, per lo più fastidiosa e irritante, per annunciare urbi et orbi del ritorno sull’isola, ma solo nei circoscritti confini dell’Inghilterra, di ogni aspetto impigliato e impelagato nella disciplina sportiva maggiormente seguita, il calcio, fra cui trofei, coppe, tattica, tecnica, passione, interessi e vittorie. I sudditi di Sua Maestà hanno sempre ritenuto di essere i gelosi conservatori del ‘credo’ del gioco del calcio, convinti di viaggiare su altre velocità evolutive e manifestare un’arroganza inimitabile e senza alcuna motivazione, soprattutto concreta. La nazionale dei Tre Leoni a livello internazionale ha trionfato, con punti interrogativi in serie, solo in una Coppa ‘Jules Rimet’, nel 1966, organizzata in terra amica. Mensole povere e leggere nella sede della FA, la Football Association. In questa occasione pensavano di rafforzare e abbellire la visuale, anche perché le sfide decisive erano previste sullo storico green londinese di Wembley.
Il percorso, però, ha trovato il fatale e decisivo affossamento proprio nella serata piovosa dell’epilogo al cospetto di una nazionale italiana risorta dalle ceneri, dalla devastazione della mancata apparizione all’ultimo Mondiale. Azzurri che hanno mostrato un gioco ben definito, brillante e propositivo, una incrollabile solidità, un’allegra e crescente evoluzione tecnico-tattica, su cui, in fila, hanno frantumato le speranze di salvezza la Turchia, la Svizzera, il Galles, nei gironi; l’Austria, il Belgio, la Spagna e, per ultima, l’Inghilterra. Tempi supplementari e rigori non hanno fermato la trionfale marcia dell’Italia guidata con assoluta competenza e lungimiranza da Roberto Mancini. È Mancini il designer di questo nuovo vestito calcistico della nazionale, certamente la migliore in onda all’Europeo itinerante voluto dall’ex presidente dell’UEFA Michael Platini. Un rullo, in grado di comprimere e aggiornare ogni record, di risultati utili consecutivi, di inviolabilità della porta e di portar via dalla terra dei presunti ‘maestri’ la seconda Coppa europea della storia.
A Roma era sola da ben 53 anni, l’unica in bellamostra, sollevata da Giacinto Facchetti nel 1968 al termine della doppia finale contro l’allora temibile Jugoslavia. Quell’affermazione è stata anche utile a superare l’onta della prematura eliminazione al Mondiale inglese, guarda un po’?, del 1966 ad opera soprattutto degli sconosciuti nordcoreani. In tv allora scorrevano immagini in bianco e nero. Qualcuno dei protagonisti della finora unica vittoria non c’è ad ammirare il bis, purtroppo. Ventisei i conquistadores della Coppa, l’11 luglio a Wembley, stesso giorno del Mundial ’82: Francesco Acerbi, Nicolò Barella, Alessandro Bastoni, Andrea Belotti, Domenico Berardi, Federico Bernardeschi, Leonardo Bonucci, Gaetano Castrovilli, Giorgio Chiellini, Federico Chiesa, Bryan Cristante, Gianluigi Donnarumma, Giovanni Di Lorenzo, Emerson Palmieri, Alessandro Florenzi, Ciro Immobile, Lorenzo Insigne, Jorge Luis Frello Filho Jorginho, Manuel Locatelli, Alex Meret, Matteo Pessina, Giacomo Raspadori, Salvatore Sirigu, Leonardo Spinazzola, Rafael Toloi e Marco Verratti. Azzurri che hanno ricordato, in particolare Davide Astori e Paolo Rossi.
Fair play inglese finito in cantina con i boati a cercare di coprire le note dell’inno di Goffredo Mameli, la medaglia sfilata addirittura sul palco delle premiazioni come per non accettare la debacle ai rigori, l’uscita anticipata dallo stadio dei sostenitori locali e gli insulti ai rei degli errori dei tiri dal dischetto e le aggressioni a decine di italiani. Valori dello sport…, questi sconosciuti.
Il trionfo azzurro ha scatenato la felicità in tutte le strade e le piazze del nostro Paese, una inversione di tendenza morale dopo oltre un anno di disagio socio-economico causato dal temibile Covid-19. Al ritorno in Italia la delegazione azzurra guidata dal vertice federale Gabriele Gravina è stata ricevuta al Quirinale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in tribuna a Wembley e a Palazzo Chigi dal premier Mario Draghi. La comitiva è stata accolta da una folla di sostenitori con tricolori sventolanti.
E, adesso, sono lievitate le ambizioni e le attese per la nazionale di Roberto Mancini. Nel mirino la fase conclusiva della Nations League e, soprattutto, il prossimo Mondiale nel Qatar dopo, comunque, aver ottenuto il necessario pass. Intanto sono saliti i decibel collettivo dell’entusiasmo fra il popolo degli aficionados del calcio e della convinzione dei componenti del granitico gruppo creato ed alimentato dalle indicazioni di Roberto Mancini e dello staff composto, fra l’altro, da alcuni ex compagni dello scudetto sampdoriano. Uno su tutti, Gianluca Vialli. Londra potrebbe essere un punto di partenza per un ciclo positivo e vincente dopo anni conditi da amarezze e delusioni.

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