Scompare a 76 anni Sven Goran Eriksson, il tecnico svedese di calcio che in Italia ha allenato, fra l’altro, la Roma, la Fiorentina, la Sampdoria e la Lazio, con la quale ha anche vinto uno scudetto
“Prendetevi cura di voi stessi, prendetevi cura della vostra vita e vivetela. Spero di essere ricordato come un brav’uomo. Grazie a tutti”. La dichiarazione dei giorni scorsi è sembrata un testamento, considerazioni finali, frasi di addio, un messaggio di chi ormai conosce il fatale futuro. Sven Goran Eriksson anche nei momenti delicati e purtroppo conclusivi dell’esistenza terrena ha confermato la semplicità, l’umanità e la signorilità che ha caratterizzato, fra l’altro, l’attività sportiva, calcistica, in particolare.
Eriksson si è spento il 26 agosto a causa di un malanno incurabile come aveva da tempo ufficializzato al mondo non solo calcistico. Era nato a Sunne, in Svezia, il 5 febbraio del 1948. La carriera da calciatore, come difensore, non era stata esaltante ed era finita presto, ma da allenatore è stata assoluta sia nei club che alla guida delle nazionali.
La prima panchina è stata nel Degerfors, poi nell’IFK Goteborg, quindi nel Benfica di Lisbona. A quel punto l’approdo in Italia, alla Roma, alla Fiorentina, alla Sampdoria e alla Lazio, con l’intermezzo nel Benfica. E, poi, Manchester City, Leister, Guangzhou, Shanghai Port e Shenzhen. Il curriculum è arricchito dalle responsabilità tecniche delle nazionali di Inghilterra, Messico, Costa d’Avorio e Filippine. 1.260 le presenze nei club, 94 nelle selezioni, che hanno abbellito la personale mensola dei trofei con 19 titoli, fra cui un campionato e una Coppa di Svezia; in Portogallo un tris di titoli, una Coppa e una Supercoppa nazionale. 4 i trofei vinti con il Goteborg, 5 con il Benfica, 7 con la Lazio, fra cui uno scudetto, uno con la Roma, con la Sampdoria e con il Degerfors. In Italia ha trionfato in quattro coppe nazionali, in una Supercoppa e nell’indimenticato campionato con la Lazio.
Eriksson era sbarcato nel nostro Paese quasi a sorpresa, nella Roma giallorossa del presidente Dino Viola. Era stato chiamato per sostituire il ‘Barone’ Nils Liedholm nel 1984 dopo il fatale stop nella finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool. Svedese, la preferenza tattica con l’allora poco famosa, ricercata e applicata zona difensiva. Il sistema di Eriksson, però, era sostanzialmente diverso da quello impostato da Liedholm: era più aggressivo, più veloce, più verticalizzato. Insomma, più da corsa e, forse, meno tecnico di quello ammirato con la squadra giallorossa, ma anche nella storica società Lisbona.
Nelle varie stagioni ha individuato ed esaltato talenti e assegnate altre competenze che sono state decisive per le carriere dei singoli calciatori, fra cui quelle di Sinisa Mihajlovic a difensore centrale e di Ruud Gullit a mediano e regista. Con Lazio di Sergio Cragnotti ha contribuito alle vittorie, fra il 1998 e il 2000, di sette trofei come la Coppa delle Coppe, la Supercoppa Europea e italiana e un paio di coppe nazionali.
La compostezza, la timidezza, la riservatezza e la generale educazione era parallela nelle vicende calcistiche e in quelle relazionali. In panchina non è rammentabile una escandescenza, negli spogliatoi una frase sconnessa con relativa alzata di tono della voce, uno sgarbo nei confronti di un avversario. Una sportività unica, un rispetto per il contendente e per la propria squadra e un comportamento etico esemplare, in grado, di avanzare, almeno inizialmente, con il credo calcistico innovativo e rivoluzionario per il campionato italiano, poi riequilibrato con il consumo delle stagioni e le esperienze accumulate e assorbite.