“Vola alto, guerriero di luce. Sarai sempre il mio eroe”: con queste parole Robert ha comunicato la scomparsa a 74 anni del genitore John Fultz. Lo scorso giugno era rimasto coinvolto con la moto in un incidente. Era stato ricoverato all’ospedale ‘Maggiore’ di Bologna con un trauma cranico, dal quale, sembra, non si sia più completamente ripreso. John Leslie Fultz era nato a Boston il 20 ottobre del 1948. Giovanili nella pallacanestro universitaria del Rhode Island con relativa affermazione nella Conference associata a quella del Massachusetts dov’era Julius Erving, il futuro ‘Doctor J’. Fin da quel periodo Fultz, ala alta un paio di metri, aveva dimostrato l’impressionante abilità e facilità nel trovare il canestro chiudendo una stagione con una media-partita di 20,5 punti e 9,7 rimbalzi. Nel 1969/70 aveva partecipato alla Summer League con i Los Angeles Lakers, che, però, alla fine avevano proposto un contratto economicamente modesto e, quindi, non accettato dal cestista. Quasi inevitabile lo sbarco in Europa. Nel 1970/71 è stato ingaggiato come straniero di Coppa dei Campioni da Varese. L’altro, per il campionato, era il messicano Manuel Raga. In quella stagione ha vinto l’Intercontinentale, ma nella finale della massima Coppa europea, nonostante i 22 punti messi a referto, non è riuscito ad evitare la delusione al cospetto del CSKA di Mosca. L’intuizione di Gianluigi Porelli, presidente della Virtus Bologna a quel tempo targata Norda, è stata fatale per la carriera e la quotidianità di Fultz. Dal 1971 al 1974, anche con la presenza in panchina di Dan Peterson, è protagonista della risalita nell’élite nazionale della Bologna virtussina dei canestri quando ancora non erano previsti i play-off. Nel corso dei tre anni è stato fondamentale nella conquista della Coppa Italia nel 1973/74. Erano diciott’anni, dallo scudetto del 1956, che la Virtus era a digiuno. Nel 1971/72 è leader della particolare graduatoria dei ‘cecchini’ con 655 punti e chiude il triennio con 70 presenze e 1.905 punti. E non c’era ancora sui parquet italiani l’arco dei tre punti. Rimane in cima nel rapporto partite-punti con una media di 27,2 e 10,8 rimbalzi. A Bologna è diventato un beniamino del pubblico e della città. Nel capoluogo emiliano con la casacca numero 11, prima Norda e poi Sinudyne, è diventato anche un personaggio osannato nel Palasport per le esibizioni e vedette nelle ore extrabasket con uno stile personalizzato, sregolato, non proprio completamente da atleta, compresa la scivolata sull’uso di sostanze stupefacenti. La meditazione e la pratica yoga hanno contribuito a superare la debacle. Nel periodo bolognese ha frequentato musicalmente anche Lucio Dalla e Vasco Rossi. E quando i capelli sono diventati lunghi, oltre le spalle, fermati dalla fascia tergisudore, Fultz è trasformato in ‘Kociss’, figura cinematografica e dei fumetti creata per rappresentare il vero e storico capotribù e condottiero Cochise. Nel 2011, per il libro autobiografico, il richiamo sulla copertina è proprio ‘Mi chiamavano Kociss’. Ha riprovato a riattraversare l’Oceano, ma l’interesse dei Lakers di Los Angeles è stato stoppato dai controlli antidroga. È stato inevitabile restare in Europa. ‘Mitraglia’ è via-via ingaggiato dalla svizzera Viganello, dall’Austria Vienna, dal Pordenone, dallo Sporting Lisbona e dall’Atletico Grundig, chiudendo la carriera nel 2005 frequentando le categorie minori. Ha trionfato anche nella Coppa Svizzera del 1977 e nel campionato portoghese del 1980/81 con lo Sporting. Dalla panchina ha guidato da vice Bologna e Firenze e da capoallenatore, fra l’altro, la stessa Firenze, le giovanili della Virtus e, poi, Geneve, Ferrara, Napoli, Torino, Savona, Torre Annunziata, Piscinola e Sveva Lucera. Aveva acquistato anche un locale ad Amsterdam e vissuto fra Napoli e provincia e, soprattutto, a Bologna dove non è stato mai dimenticato dagli appassionati restando nella lista dei protagonisti sia sul parquet che come personaggio fra i portici della città emiliana.
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